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Fonte: AltalexDal 27 febbraio 2011 il c.d. "Mille proroghe" è stato convertito nella Legge n.10 del 26 febbraio 2011, n. 10 pubblicata in G.U. n. 47 del 26.02.11 suppl. ord. n. 53.Il disegno di Legge n. 2518, ovvero il c.d. maxiemendamento al decreto Milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, provocatoriamente denominato Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), approvato al Senato, con il ricorso alla “fiducia”, in data 16 febbraio 2011, approvato dalla Camera (sempre con il ricorso alla “fiducia”), in 25 febbraio 2011, e nuovamente dal Senato, sempre con “fiducia”, in data 26 febbraio 2011 (a causa di insignificanti modifiche apportate dal Governo al testo a seguito del richiamo del Presidente della Repubblica in data 22 febbraio 2011) conteneva, tra l’altro, una norma estremamente criptica: l’art. 2 quinquies, comma 9, divenuta ora l’ art. 2, comma 61, della Legge n. 10/2011.Il testo così recita: “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.A vederlo, a prima vista, potrebbe sembrare un ennesimo “Salva banche 3” (in verità il potere bancario non ha colori e gli utenti delle banche ricordano benissimo il “Salva Banche 1” sull’anatocismo, varato dal Governo D’Alema, ed il “Salva Banche 2” sui mutui usurari, varato dal Governo Amato): infatti, non sono trascorsi neppure tre mesi da quando l’espressione più alta della Magistratura Italiana, le S.U. della Cassazione, hanno definitivamente statuito in materia di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, relativa alle apercredito bancarie, che il Governo ha inteso interpretare l’art. 2935 c.c. sulla prescrizione, relativamente alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, con tre righe aggiunte frettolosamente nella tarda serata di lunedì 15 febbraio da un noto Senatore del PdL.Probabilmente la fretta e l’assenza di lavori preparatori hanno fatto sì che alla norma introdotta debba riconoscersi uno spazio ed una portata ben ridotta con effetti estremamente differenti da quelli sperati dai filobancari: in verità, l’interpretazione sulla portata della prescrizione, relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto, può solo completare la normativa già esistente in materia di decadenza dalla contestazione della singola appostazione in conto corrente.Sgombriamo subito il campo da probabili equivoci.La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può farsi valere (art. 2935 c.c.) e, in particolar modo, nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente la prescrizione dei diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa (cfr. art. 2, comma 61, della Legge 26 febbraio 2011, n. 10).A tal proposito giova rammentare preliminarmente che, mentre l’azione promossa dal cliente verso la banca, per far valere la nullità della clausola che prevede, ad esempio l’anatocismo, è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c., quella proposta dallo stesso cliente nei confronti della banca, ai fini di conseguire la ripetizione delle somme che assume di avere versato a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi, è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito[1].Imprescrittibilità dell’azione di nullità significa che la prescrizione dei diritti derivanti l’annotazione non potrà mai intaccare il diritto dell’utente ad un’azione giudiziaria volta a far dichiarare la nullità delle clausole contrattuali originariamente nulle, quali quella dell’anatocismo (cfr. art. 1283 c.c.), degli interessi ultralegali “uso piazza” o dei giorni di valuta “fittizi” (art. 1284 c.c.), ecc..E’ altresì evidente come la domanda di ripetizione dell’indebito (indebito in quanto derivante da un negozio nullo) ha un presupposto imprescindibile: il pagamento.Se non si ha un pagamento non si potrà certo ripetere ciò che non si è mai pagato.Pertanto, punto di partenza del diritto di ripetizione dell’indebito è l’individuazione del momento in cui, nelle operazioni regolate in conto corrente bancario, si verifica il pagamento, ovvero vengono pagati indebiti interessi anatocistici ed ultralegali, indebite commissioni di massimo scoperto trimestrale, indebite valute fittizie e spese forfettarie.A questa domanda hanno risposto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418."Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati".Pertanto le S.U. hanno ineccepibilmente individuato nell’estinzione del saldo di chiusura[2] il momento in cui si verifica il pagamento dell’indebito[3] e dal quale nasce il diritto di ripetizione e, dunque, il momento dal quale decorre il termine prescrizionale, così come previsto dall’art. 2935 del c.c., anche con l’interpretazione imposta dall’art. 2, comma 61, della Legge 26 febbraio 2011, n. 10, per la ripetizione dell’indebito.La singola annotazione in conto[4], in se e per sé considerata, influisce sul rapporto solo a livello quantitativo, ma non fa sorgere alcun diritto di ripetizione in capo all’utente, in quanto non potrà mai costituire un pagamento.Inoltre, ad esempio, l’annotazione in conto di una posta di interessi capitalizzati (in violazione dell’art. 1283 c.c.) non potrà mai valere come sanatoria di un negozio originariamente nullo (ai sensi dell’art. 1422 c.c.), come è nulla la clausola contrattuale anatocistica.Non potranno mai sorgere valide obbligazioni da un negozio nullo.Le S.U. nella nota sentenza hanno anche chiarito come : “Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento”.Ma, a tal punto, una volta affermato che il versamento extra fido costituisce pagamento (sempre se vi sia lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca: il versamento effettuato da un terzo sul c/c evidentemente non avrà mai un fine solutorio), occorre in concreto verificare se esso sia servito a coprire il debito del correntista in linea capitale ovvero se esso abbia coperto dapprima gli interessi e le spese, solo successivamente il capitale.Se, da un lato, è pacifico che il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore (cfr. art. 1194 c.c.), è altrettanto pacifico che il creditore, con il tacito assenso del debitore, può imputare il pagamento dapprima al capitale e successivamente agli interessi e alle spese.Detta scelta del creditore è, ovviamente, irrevocabile.Tuttavia, anche qualora fosse revocabile, ai sensi dell’art. 2, comma 61, della Legge 26 febbraio 2011, n. 10, il diritto della banca di imputare l’annotazione di versamento del correntista al pagamento di interessi e spese (e non a capitale come, in effetti, avviene in concreto), si prescrive con il decorso di dieci anni dall’imputazione a capitale fatta dalla banca al momento del versamento.Infatti, è noto, come nel rapporto di conto corrente bancario di corrispondenza è solo la banca a tenere il conto e, pertanto, indipendentemente dall’indicazione del correntista nella distinta di versamento, sarà l’appostazione leggibile in e/c a dettare l’imputazione voluta dal creditore, ovvero dalla banca.Nella realtà dei fatti, il correntista non effettua mai annotazioni in conto (imputando il versamento ad interessi e spese), mentre la banca registra gli accrediti o addebiti effettuando, solo ed esclusivamente, la variazione dei numeri creditori o debitori attinenti al complessivo dare – avere.Successivamente, a fine trimestre, con un’operazione affetta da nullità (l’azione di nullità è imprescrittibile, come chiaramente indicato dall'art. 1422 c.c.) la banca capitalizza gli interessi ultralegali, come fittiziamente aumentati con il gioco delle valute, le cms e le spese forfettarie, raggruppandole in una voce di capitale (infatti genera ulteriori competenze nel trimestre successivo, la c.d. “capitalizzazione”) che viene appostata o nell’estratto conto del trimestre in esame come ultima appostazione o come prima nell’estratto conto del trimestre successivo.Detta operazione di appostazione in conto capitale (di interessi, commissioni e spese) è affetta da nullità originaria imprescrittibile, rilevabile persino d’Ufficio (anche nel grado di appello) e, comunque, non costituisce pagamento.Da detta annotazione non nascono diritti o obbligazioni validi, né scaturisce alcuna conseguenza, se non quella di diminuire in forma assolutamente fittizia la disponibilità del correntista.Le altre annotazioni in conto, al contrario, hanno un titolo negoziale valido: ad esempio, un versamento in contanti, un versamento di un assegno, oppure l’operazione di prelievo o l’emissione di un assegno in pagamento, ecc.Nessun diritto soggetto a prescrizione, ai sensi dell’art. 2 comma 61, della Legge 26 febbraio 2011, n. 10, potrà nascere da un’appostazione che ha origine da un negozio originariamente nullo.Va chiarito, per inciso, come non abbiano certo valore di annotazione in conto i saldi parziali riportati periodicamente dalla banca (ogni mese, trimestre ed a fine anno) negli estratti conto; così come non ha alcun valore di annotazione il saldo riportato, ad esempio, su una ricevuta bancomat alla fine di un’operazione compiuta dal correntista.Solo il saldo finale, coincidente con la chiusura del conto e con il pagamento, assume valore di annotazione in conto.Nel corso dell'esame contabile dei c.d. conti extrafido, talora la difesa della banca invoca, per l'incidenza degli accrediti, il disposto dell'art. 1194 c.c., il cui secondo comma stabilisce un criterio legale d’imputazione dei pagamenti, limitativo del potere del debitore, sancendo che il pagamento sia riferito, in primo luogo, agli interessi.Tuttavia, la norma richiede l'effettuazione di un "pagamento" di un debito che sia esigibile da parte del creditore (ovviamente l’art. 1194 c.c nei conti corrente affidati non è neppure prospettabile, non essendovi pagamenti durante il rapporto).Ciò porta ad escludere che il criterio legale di imputazione valga per quei versamenti o accrediti, non solutori, affluiti su un conto corrente di corrispondenza, con apertura di credito.Nel conto corrente bancario i versamenti hanno natura di pagamenti solo quando il conto sia scoperto.Nell’ipotesi ordinaria del conto corrente affidato la serie successiva di appostazioni (versamenti o prelievi) non danno luogo a singoli rapporti, ma a mere subvariazioni quantitative di un unico rapporto giuridico instaurato dalle parti.Ne deriva che i vari versamenti costituiscono delle mere operazioni contabili di accredito, dirette a ripristinare la provvista.Essi non hanno finalità solutoria dato che, finché perdura il rapporto, la banca non vanta un credito che sia esigibile verso il correntista.Non trattandosi, pertanto, di pagamenti è fuor di luogo invocare l’art. 1194 2° comma.Ma ciò non basta per applicare "sic et simpliciter" il suddetto criterio legale di imputazione.Come insegna la Suprema Corte sulle disposizioni del Codice Civile in materia di imputazione dei pagamenti, per il loro carattere suppletivo, prevale la volontà delle parti.La volontà delle parti, in particolar modo del creditore (la banca), desumibile anche da presunzioni (nel caso in esame le modalità con cui la banca effettua le appostazioni nel contratto di conto corrente), va verificata con riferimento all'epoca del singolo pagamento.Occorre, quindi, per invocare l'imputazione, che la banca, quando affluisce l'accredito su di un conto che abbia sconfinato, incameri la somma versata per interessi e spese (ovvero la riceva a titolo di pagamento).Solo in tale caso, può, ineccepibilmente imputare l'importo prima agli interessi e poi al capitale relativo allo "scoperto", differentemente l’importo andrà imputato indistintamente a capitale, interessi e spese.Abitualmente, infatti, la banca registra gli accrediti con l'indicazione dei diversi numeri creditori e debitori, sulla cui base calcola gli interessi, senza attuare alcuna distinzione.Anzi, nella maggior parte dei casi, la banca con l'applicazione, almeno nel passato, anche per tali interessi, della lucrosa capitalizzazione periodica, manifesta, in modo in equivoco, la volontà di rinunziare all'applicazione del criterio legale di imputazione e gli effetti di tale rinunzia sono irreversibili, una volta avvenuto il pagamento (cfr Dott. Salvo BARBARA, Presidente Sezione Civile Tribunale di Siracusa, “La Consulenza tecnica in materia di interessi bancari” in “Il Dottore Commercialista”, 2005).Ne deriva che l’imputazione del versamento solutorio (o della parte di detto versamento che supera il saldo ricalcolato, in quanto epurato dalle somme derivanti da obbligazioni nulle) andrà in pagamento non direttamente agli interessi e spese (così come vorrebbe l’art. 1194 c.c.), ma in forma proporzionale al capitale, interessi e spese, come di fatto operato sempre dalla banca durante lo svolgersi del rapporto.Questa è stata la condotta della banca durante tutto il rapporto che ha così espresso, per facta concludentia, la volontà di rinunziare all'applicazione del criterio legale di imputazione previsto dall’art. 1194 c.c. (lo stesso articolo, fa salva la differente volontà del creditore), imputando i versamenti in conto capitale, ed aggiungendo allo stesso capitale, a fine trimestre, interessi (gonfiati dalle valute fittizie), spese e cms.Ciò posto, è evidente come la norma sulla prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione in conto (art. 2935 c.c.) vada letta in riferimento alla norma sulla decadenza dei diritti nascenti dalla mancata contestazione delle appostazioni in conto corrente (art. 1832 c.c.).Consolidata giurisprudenza della S.C. ha chiarito come non vada confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto obbligatorio, regolato dagli artt. 1284 e 1283 c.c., con la singola annotazione in conto che, in se e per sé, influisce solo a livello quantitativo sul rapporto: infatti, l'approvazione dell'estratto conto rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni a debito e credito nella loro realtà contabile, ma non anche l'efficacia e la validità dei rapporti sostanziali.In tema di operazioni bancarie in conto corrente, sono qualificabili come estratti-conto le comunicazioni al cliente sulla situazione del conto, queste comunicazioni vengono inviate dalla banca non solo allo scioglimento del rapporto, ma anche alle scadenze periodiche contrattualmente previste, con la riproduzione di tutte le partite contabili – ivi compresi i diritti di commissione, le spese per le operazioni effettuate, gli interessi attivi e passivi maturati, le ritenute fiscali, oltre alla riproduzione di un preciso riferimento alle partite di dare ed avere, mettendo il cliente medesimo in condizione di riscontrare ogni eventuale vizio incidente sul saldo finale.L’approvazione del conto consegue alla mancata contestazione dell’estratto nel termine contrattualmente previsto, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza, e preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto (salva l’impugnazione per errori, omissioni e duplicazioni di carattere formale, ai sensi del 2° comma dell’art. 1832 c.c.).Con la previsione del decorso del termine di prescrizione decennale dei diritti nascenti, sia in capo alla banca che al correntista, sulle singole annotazioni dalle quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto si è, probabilmente, inteso colmare un evidente vuoto che poteva dare adito a di storture.Ad esempio, dal momento dell'annotazione, il correntista, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, avrà il diritto di agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli: detto diritto si prescrive dal giorno dell’appostazione in conto.Lo stesso correntista, ovviamente, per quanto innanzi detto, non può agire in quel momento per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo (solo con la chiusura del conto si effettua, in via normale, un pagamento).Prendiamo, altresì, ad esempio l’accredito di anticipi su effetti, di anticipi su fatture interne, su fatture estere, ecc , se per tali operazioni si verifica il ritorno di effetti o ricevute insolute, sorge un diritto per l’Istituto di credito a vedersi restituire le somme anticipate.Tale diritto viene a configurarsi in un’epoca successiva all’annotazione originaria (oltre il periodo ordinario di contestazione a termine di decadenza dell’estratto conto) con riferimento alla data dell’accredito originario, in quanto viene di fatto annullata la disponibilità dell’importo accreditato sin dal principio.Interviene, dunque, l’art. 2935 c.c. che, con la nuova interpretazione, intende far decorrere la prescrizione dall’annotazione in conto dell’anticipazione originaria, salvaguardando il diritto dell’Istituto a vedersi riconoscere le somme anticipate.Dal momento dell'annotazione da parte della banca del versamento del correntista a capitale si prescrive (sempre che tale scelta effettuata dalla banca si possa ritenere modificabile) il diritto della banca ad imputare quel versamento esclusivamente ad interessi e spese (cosa che comunque non potrebbe fare non essendo ammissibile, in linea di principio, alcun pagamento).Ed ancora, la mancata contestazione dell’estratto nel termine contrattualmente previsto preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti da parte dell’utente, senza necessità che da parte della banca venga sollevata alcuna eccezione di decadenza, mentre non veniva rappresentata, ad esempio, l’ipotesi inversa.In ogni caso, la banca avvedutasi dell'illegittimità dell'annotazione in conto, nell’ipotesi che non si attivi nei dieci anni a rivendicare giudizialmente questo suo diritto, incorrerà nella prescrizione dell’art. art. 2, comma 61, della Legge 26 febbraio 2011, n. 10.L’interpretazione autentica dell’art 2935 c.c. in tema di operazioni bancarie regolate in conto corrente ha creato una sorta di sbarramento applicabile, ad entrambe le parti, e relativa alla rivendicazione dei diritti nascenti da ogni singola annotazione dalla quale deriva l’accredito o l’addebito iscritto nell’estratto conto, contribuendo alla certezza del diritto.L’art. 2 quinquies, comma 9, come modificato nella serata del 23 febbraio 2011, a seguito dell’intervento del Presidente della Repubblica, fa salvi gli importi già versati dalle banche ai correntisti alla data di entrata in vigore della normativa.Si tratta di un “contentino”, peraltro scontato ed ovvio, se non foriero di ulteriori confusioni (la norma è, peraltro, piena zeppa di profili d’incostituzionalità, come già numerose istanze presentate da centinaia di avvocati nel territorio nazionale stanno dimostrando).Per il resto, è noto che l'estratto conto è considerato mero documento contabile, da cui discende che le operazioni bancarie in esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la banca, ma rappresentano l'esecuzione di un unico negozio, da cui deriva il credito o il debito del cliente verso la banca.Pertanto, la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano.Infatti, le contestazioni di cui all’art. 1832 c.c. non possono coinvolgere il titolo contrattuale dell’operazione, che è regolata dalle norme generali sui contratti, ma solo la conformità delle singole concrete operazioni ai patti ed alla realtà del loro andamento.Una contestazione dell’estratto del conto non è specifica ove riguardi la vincolatività o meno del patto contrattuale che obbliga a corrispondere una certa misura degli interessi, dal momento che per tale contestazione è da ritenersi necessaria l’impugnativa del contratto stesso.Dunque, la prescrizione dei diritti derivanti dalla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori, dai quali le partite inserite nel conto derivano, ha come punto di riferimento non la mera appostazione contabile, ma il rapporto negoziale.L’azione di ripetizione ha un necessario presupposto: la chiusura del conto.Solo con la chiusura del conto si ha un pagamento: prima non si può parlare di azione di ripetizione e non si può parlare di decorso di un diritto che viene a concretizzarsi, magari dopo trent’anni all’appostazione sul conto.Infatti, non si può validamente sostenere che si sia prescritto il diritto di ripetere un versamento effettuato con un’annotazione in conto risalente agli anni ‘70 (relativa ad un conto debitorio, non scoperto) e chiuso nel 2009, quando solo nel 2009 si è tecnicamente concretizzato il pagamento.Alla data dell’annotazione si prescrivono solo ed esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile, ma non certo quelli derivanti dalle nullità negoziali originarie.La prescrizione è la causa di estinzione del diritto derivante dalla inattività del titolare per il tempo determinato dalla legge, ma nel caso in esame il diritto alla restituzione dell’indebito si forma solo ed esclusivamente con la chiusura del conto corrente passivo affidato.La più attenta Giurisprudenza di merito non si è certo lasciata confondere da quel giornalismo prezzolato che ha subito visto nella norma del Governo una scure per i diritti dei correntisti (prospettando falsi scenari apocalittici che hanno comportato il vero guadagno del ceto bancario in questa partita: scoraggiare i correntisti dall’intraprendere le cause contro le banche) ed ha continuato a condannare le banche: da ultimo, si vedano la pronuncia del Tribunale di Taranto emessa dalla Dott.ssa Enrica Di Tursi, sentenza n. 445 del 03 marzo 2011, n. 445 e quella del Tribunale di Palmi del 4 marzo 2011.(Altalex, 21 marzo 2011. Nota di Antonio Tanza)__________________[1] “Infatti, se l'azione di nullità è imprescrittibile, altrettanto non è a dirsi - come chiaramente indicato dall'art. 1422 c.c. - per le conseguenti azioni restitutorie; donde, appunto, la già richiamata necessità, d'individuare il dies a quo del termine di prescrizione decennale applicabile, in casi come questi, alla condictio indebiti.” - Cassazione, SS.UU. n. 24418/2010.[2] “il termine di prescrizione decennale per il reclamo del le somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che da luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicchè è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262; e Cass. 14 maggio 2 005, n. 10127)” - Cassazione, SS.UU. n. 24418/2010.[3] 3.2. Occorre considerare che, con tutta ovvietà, perchè possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. Senza indulgere in inutili disquisizioni sulla nozione di pagamento nel linguaggio giuridico e sulla sua assimilazione o distinzione dalla più generale nozione di adempimento, appare indubbio che il pagamento, per dar vita ad un'eventuale pretesa restitutori a di chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l'accipiens); e lo sì può dire indebito - e perciò ne consegue il diritto di ripeterlo, a norma dell'art. 2033 c.c. - quando difetti di una idonea causa giustificativa. Non può, pertanto, ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l'attore pretende essere indebito, perchè prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. Nè tale conclusione muta nel caso in cui il pagamento debba dirsi indebito in conseguenza dell'accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione al quale è stato effettuato, altra essendo la domanda volta a far dichiarare la nullità di un atto, che non si prescrive affatto, altra quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione di una prestazione eseguita: sicchè questa corte ha già in passato chiarito che, con riferimento a quest'ultima domanda, il termine di prescrizione inizia a decorrere non dalla data della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso: Cass. 13 aprile 2005, n. 7651) - Cassazione, SS.UU. n. 24418/2010.[4] “3.3. I rilievi che precedono sono sufficienti a convincere di come difficilmente possa essere condiviso il punto di vista della ricorrente, che, in casi del genere di quello in esame, vorrebbe individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista. L'annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perchè non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo” - Cassazione, SS.UU. n. 24418/2010.| anatocismo | milleproroghe | Antonio Tanza | DIVIETO DI ANATOCISMO NEL DIRITTO BANCARIORoma 30 aprile - Milano 28 maggioDott. Luigi Miraglia (Magistrato) - Accreditato 7 ore avvocatiCorte di Appello di AnconaSentenza 3 marzo 2011La Corte d'Appello di AnconaComposta come da p. v. del 3 febbraio 2011Sciogliendo la riserva,osserva che l'istanza di sospensione avanzata dall'appellante non può trovare accoglimento;premesso che non risulta contestata, con il prodotto gravame, la qualificazione data in sentenza al rapporto intercorso tra le parti, profilo questo coltivato nella sola istanza tesa alla sospensione, osserva che non si apprezza, nel contesto di sommaria delibazione dei motivi d'appello, il fumus dell'impugnativa;che, in riferimento prioritario, motivo incentrato sulla, dedotta, erronea esclusione dell'eccepito fatto estintivo, riceve smentita dalla pronuncia resa dalla Corte di Cassazione, sez.,unite, in data 2 dicembre 2010;senza che possa avvalersi l'appellante del disposto di cui all'art. 2, comma 61, del d.l. 2251 2010, decreto convertito con legge 10 del 2011: pur volendosi superare la palese inammissibilità della tardiva deduzione difensiva, va rilevato che per un verso, detto disposto si riferisce ai "diritti nascenti dall'annotazione", decorrendo dalla medesima annotazione il termine prescrizionale, diritti che deve ritenersi pertanto azionabili immediatamente, pena macroscopico sovvertimento del sistema, anche qualora, ed il dato fattuale depone in tal senso, non si abbia conoscenza dell'annotazione, operazione contabile meramente interna all'istituto di credito; diritti, e tanto assurge ad argomento dirimente, estranei alla fattispecie, qui esaminata, che non attiene a posizione derivante dalla annotazione, bensì dal pagamento quale inteso dalla richiamata sentenza che ha proprio escluso che da detta operazione contabile nasca l'indebito; talché altra connotazione letterale avrebbe dovuto assumere la disposizione qualora avesse voluto ricondursi la decorrenza del termine prescrizionale afferente l'indebito alla sola annotazione, limitandosi invece il legislatore delle "mille proroghe" a statuire sulla decorrenza, ancorandola alla medesima annotazione, che, in difetto di altra, e ben più incisiva novella, non abilita, di per sé sola, alla ripetizione dell'indebito;il disposto invocato, per altro verso, ha indubbia portata innovativa, al di là della dichiarata natura meramente interpretativa, talché, anche a voler disattendere quanto appena detto, non potrebbe trovare applicazione in relazione alla presente controversia, trattandosi sì di norma sostanziale, ma che non può di certo introdurre, retroattivamente effetto estintivo del diritto azionato dalla società appellata;né ricorre, sotto altro versante, pregiudizio imputabile alle condizioni finanziarie della società appellata, nessun serio elemento deponendo in tal senso, laddove è congeniale alla peculiare fase liquidatoria che il creditore si sia attivato per ottenere titolo in corso di causa;va; in conseguenza, revocato il decreto reso in data 23 dicembre 2010;P.Q.M.Respinge l'istanza prodotta dall'appellante, revocando l'interinale disposta sospensione.Ancona, 3 marzo 2011 Il Presidente.

"quando non si sa attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore"
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oddio la sorella di rinviato!!!!

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Risparmio se mi fai la sintesi,ne avanzi una.

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impeccabile fino a dove sono riuscito a seguire.poi mi sono perso.Resto dell'idea di recarmi in banca con la "m'suria " che sarebbe la falce per il grano/erba, per intenderci quella raffigurata nelle mani della mortegrazie per il post.

Hannibal
www.palombarimotociclisti.it


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