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Multe e Corte dei Contidi Claudio De LucaPer la Corte dei Conti campana (sentenza n. 1231/2011) il "condono tombale" sulle sanzioni pecuniarie tributarie (Finanziaria 2003) non può essere applicato pure agli importi maturati in relazione alle violazioni delle norme contenute nel Codice stradale; cosicché chi l’avesse fatto risponderebbe di danno erariale. Nel 2009, il Procuratore regionale della Corte dei conti aveva convenuto in giudizio (€ 589.890,69 per danno patrimoniale da mancate entrate; € 75.000,00 per danno da disservizio) i Consiglieri del Comune di Benevento che avevano deliberato favorevolmente l’approvazione di un Regolamento contemplante la definizione agevolata degli illeciti stradali, dopo di avere ottenuto il parere favorevole dei propri organi amministrativi. La vicenda trae origine dalla possibilità per Regioni, Province e Comuni (legge n. 289/2002) di attivare una sorta di condono dei tributi locali. La condizione necessaria per l’adozione di tali misure erano la regolamentazione delle procedure e la circostanza per cui l’oggetto di tali disposizioni dovessero essere le tipologie rientranti nella nozione di tributi propri. Quel Consesso aveva approvato il Regolamento, precisandone l’applicabilità ad ici, tarsu, occupazione spazi ed aree pubbliche, imposta di pubblicità e pubbliche affissioni, canone acque reflue e depurazione, iciap. Però, più tardi, aveva introdotto pure le violazioni Cds (“per effetto del condono, gli obblighi relativi al pagamento si intendono adempiuti con il pagamento della sanzione originaria, oltre le spese di spedizione e gli interessi legali del 3%”). La Procura, ritenuta illecita detta previsione, aveva invitato i Consiglieri a dedurre assieme ai responsabili del settore finanziario, al coordinatore del settore tributi, al Segretario comunale ed al Direttore generale. Considerate insufficienti le risposte, l’organo requirente aveva valutato che, dalla vicenda, fosse scaturito un danno erariale da mancata entrata ed uno da disservizio in considerazione della previsione (art. 208 Cds) che pone a detti proventi una destinazione vincolata. In sostanza, la definizione agevolata degli illeciti stradali non rientrava nell’ambito oggettivo dei tributi propri. Evidente, perciò, che la condotta posta in essere era connotata da colpa grave o dolo, sussistendo un rapporto di servizio fra chi lo aveva determinato e l’ente. Ma vediamo, più nel dettaglio, i termini della vicenda. Secondo l’art. 13 della legge n. 289, ”con riferimento ai tributi propri, le Regioni, le Province e i Comuni possono stabilire l’adozione di atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute nonché l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, non inferiore a 60 gg. dalla data di pubblicazione dell’atto, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti. Le medesime agevolazioni possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o contenziosi in sede giurisdizionale. Si intendono tributi propri quelli la cui titolarità ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonché delle mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali”. Invece le delibere consiliari, che avessero esteso il condono alle violazioni Cds, non aventi natura di tributo, erano da ritenere illegittimamente adottate. Per di più, per effetto del condono, che aveva considerato adempiuti gli obblighi “con il pagamento della sanzione originaria, oltre le spese di spedizione e gli interessi legali al 3%”, si erano registrate rilevanti minori entrate per l’ente. In tal senso giova evidenziare che il verbale di accertamento di violazioni al codice della strada, “in deroga alle disposizioni di cui all’art. 17 della legge n. 689/1981, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento” (art. 203, c. 3, Cds). Quindi, considerato che la metà del massimo edittale della sanzione amministrativa è pari al doppio del minimo, per effetto del condono l’ente locale aveva introitato soltanto la metà del suo credito. Sicché, le delibere consiliari in esame erano da ritenere, oltre che illegittime, causative di danno erariale. Poi c’era il danno da disservizio, in considerazione della destinazione vincolata attribuita ai proventi delle sanzioni amministrative stradali. In effetti, le somme arbitrariamente non incassate (e quindi non utilizzate in conformità agli scopi prefissati) avrebbero determinato un ulteriore danno caratterizzato dall’inosservanza dei doveri del pubblico dipendente con conseguente diminuzione di efficienza dell’apparato pubblico che non aveva permesso di conseguire, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall’impiego di determinate risorse, determinandone uno spreco. Indiscussa, poi, la sussistenza del rapporto di servizio tra i convenuti e l’ente locale essendo tutti inquadrati nell’apparato amministrativo-burocratico del Comune in base ad un rapporto d’impiego o per incarico politico. Perciò, con riguardo all’elemento soggettivo, la Corte ha ritenuto che la condotta dei convenuti fosse espressiva di colpa grave innanzitutto perché le norme in materia di condono rivestono carattere contingente e del tutto eccezionale (sicché sono di stretta e rigorosa applicazione ed è preclusa la loro estensione ad ambiti oggettuali o temporali diversi). Poi c’era la grave negligenza, espressa dalla condotta dei convenuti che, sebbene la legge n 289/2002 consentisse l’adozione di provvedimenti di condono soltanto con riferimento a “tributi propri”, avevano ammesso a definizione agevolata pure i proventi contravvenzionali, privi di tale natura, come evincibile dalla loro allocazione in bilancio fra le entrate extra-tributarie. Infine, un ulteriore elemento deponente per la gravità della negligenza era costituito dalla sistematica reiterazione nel tempo del provvedimento di condono, consentito esclusivamente per periodi antecedenti alla data di entrata in vigore della legge 289. Non inficiano le conclusioni, l’esimente della non-responsabilità degli organi politici in buona fede ed il principio di insindacabilità delle scelte discrezionali. Con riguardo alla prima (legge n. 20/1994:“In caso di atti che rientrino nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”), la Corte ha osservato che la disposizione riconosce l’esonero da responsabilità dell’organo politico solo in presenza dell’estraneità degli atti adottati all’ambito proprio dell’organo politico e della loro assunzione in buona fede. Nella fattispecie, non è riscontrabile alcuna delle due ipotesi, giacché, l’organo politico ha esercitato una propria attribuzione di amministrazione attiva in una materia ad esso riservata dalla legge; e la buona fede invocata – ammissibile soltanto quando la decisione fonte di danno sia stata assunta in materie di particolare difficoltà tecnico-giuridica - non può ritenersi operante per la evidente contrarietà degli atti alle disposizioni di legge. degli organi politici in buona fede ed il principio di insindacabilità delle scelte discrezionali. Con riguardo alla prima (legge n. 20/1994:“In caso di atti che rientrino nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”), la Corte ha osservato che la disposizione riconosce l’esonero da responsabilità dell’organo politico solo in presenza dell’estraneità degli atti adottati all’ambito proprio dell’organo politico e della loro assunzione in buona fede. Nella fattispecie, non è riscontrabile alcuna delle due ipotesi, giacché, l’organo politico ha esercitato una propria attribuzione di amministrazione attiva in una materia ad esso riservata dalla legge; e la buona fede invocata – ammissibile soltanto quando la decisione fonte di danno sia stata assunta in materie di particolare difficoltà tecnico-giuridica - non può ritenersi operante per la evidente contrarietà degli atti alle disposizioni di legge.(Pubblicato il 16/09/2011)

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Azz..fanno a cazzotti..per leggerti e risponderti... :))

Leo

vacuum :(((

Leo

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E quindi?! Scusa, ma non ho capito nulla

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