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Polizze Vita, la sicurezza rende fino al 4% Ma occhio ai costi L’Economia oggi gratis
di Pieremilio Gadda e Francesca Monti8 aprile 2019
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La ripresa
Con i mercati sotto la bufera, nel 2018, sono in molti ad aver riaperto l’ombrello delle polizze vita. Non è un caso se nel 2018, calcola l’Ania, l’associazione di categoria delle imprese assicuratrici, la raccolta premi del comparto vita è tornata sopra quota 100 miliardi: in ripresa del 3,5% dopo le contrazioni registrate nel 2017 (-3,6%) e nel 2016 (-11%), e con un aumento del 5,4% per i premi del ramo I, che rappresenta il 65% del totale. Se l’obiettivo è la protezione del capitale, infatti, i contratti assicurativi collegati alle gestioni separate — così definite perché il patrimonio dei fondi nei quali confluiscono i premi dei sottoscrittori, rivalutato di anno in anno in base ai rendimenti ottenuti, è separato da quello della compagnia — possono essere, a certe condizioni, una risorsa preziosa. Secondo un’indagine condotta da L’Economia su 246 gestioni disponibili sul mercato italiano, il rendimento lordo medio realizzato nel 2018 è del 3,2%, con punte sopra il 4% tra quelle con più di un miliardo di euro di patrimonio.
Com’è stato possibile, in un anno così negativo per molti segmenti a reddito fisso, se è vero che questi strumenti investono larga parte degli asset in titoli di Stato italiani e obbligazioni societarie? «La spiegazione sta in un meccanismo contabile —, spiega Marcello Rubiu, amministratore unico della società di consulenza finanziaria Norisk scf —. In base alle norme vigenti, i titoli in pancia alla gestione separata sono valorizzati al prezzo d’acquisto, fino a quando non vengono venduti. In questo modo, apparentemente le polizze vita di ramo I, come vengono definite dagli addetti ai lavori, non risentono delle oscillazioni dei prezzi che invece si manifestano quando si ha in portafoglio un singolo titolo, un fondo attivo o passivo».
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Rendimenti stabili
Il risultato è una forte stabilità dei rendimenti: una proprietà ulteriormente tutelata da un recente provvedimento dell’Ivass, l’autorità di vigilanza del settore, che ha introdotto la possibilità per le compagnie di costituire un fondo utili: un serbatoio di profitti entro cui far confluire parte delle plusvalenze realizzate, con funzione di riserva, da spalmare sui risultati della gestione in anni di vacche magre sul piano delle performance. Vale la pena ricordare che in molti casi i rendimenti vengono consolidati, anno dopo anno: in questo modo, se la polizza ha una garanzia di ritorno, anche minima, il capitale investito non può mai diminuire.
Si spiega allora perché chi nel 1982 avesse investito 100 in una gestione separata, calcola l’Ania, dopo 35 anni, alla fine del 2017, si troverebbe con un capitale di 1.702, a fronte di un rendimento medio annuo dell’8,4% (4,9% in termini reali) e con una volatilità annualizzata del 5,5%. Un analogo importo destinato all’acquisto di azioni italiane, nell’ipotesi di completo reinvestimento dei dividendi, avrebbe raggiunto nello stesso arco temporale il valore di 2.190, con un rendimento medio annuo di poco superiore al 9,0% e una volatilità annualizzata, però, molto superiore, pari al 28,7%.
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Il futuro è in discesa
Qui si parla di performance lorde. A fronte di alcuni vantaggi indiscutibili, però, bisogna considerare anche i costi, che possono essere piuttosto elevati. In ogni caso, le performance delle gestioni separate sono destinate a scendere, inevitabilmente, a mano a mano che giungono a scadenza i titoli in portafoglio emessi in fasi di mercato caratterizzate da tassi più elevati, sostituiti via via da nuove obbligazioni con rendimenti molto più bassi.
A parità di condizioni, quindi, è meglio scegliere gestioni separate di dimensioni rilevanti e con una lunga storia alle spalle, perché scontano una minore volatilità di flussi e rendimenti. «Questa soluzione, competitiva dal punto di vista fiscale, è adatta soprattutto ai clienti che hanno una bassa propensione al rischio e quindi una limitata capacità di tollerare ampie fluttuazioni dei prezzi — spiega Rubiu —. In ogni caso non bisognerebbe abusarne, anche considerando l’elevata esposizione al rischio Italia».
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Niente tasse per gli eredi
A parte la stabilità dei rendimenti, le polizze vita attirano soprattutto chi ha esigenze di pianificazione in ottica di trasferimento della ricchezza agli eredi. Il principale beneficio di questi strumenti, infatti, risiede nell’esenzione dalle imposte di successione, valida sia per le polizze a gestione separata che per le unit linked (ramo III): polizze agganciate a fondi d’investimento nei quali confluiscono i premi pagati dall’assicurato. Entrambi i contenitori assicurativi (ramo I e III) beneficiano, inoltre, di un prelievo fiscale differito: i rendimenti ottenuti vengono tassati, secondo un criterio di maturazione dei redditi (12,5% fino al 31/12/2011, 20% dal 1° gennaio 2012 al 30 giugno 2014, 26% a seguire, ferma restando l’aliquota del 12,5% sulle plusvalenze prodotte dai titoli di Stato) solo al momento del riscatto, ovvero alla liquidazione della prestazione.
Questo garantisce la possibilità di tenere sempre investita la quota che altrimenti verrebbe decurtata dal patrimonio, come nel caso di altri strumenti finanziari. Le polizze a gestione separata (ramo I) godono di un ulteriore vantaggio: si risparmia il bollo annuo dello 0,20%, da cui sono esentate. E che si paga, invece, nel caso delle unit linked. «È in atto da tempo un dibattito sulla natura e la qualificazione delle polizze di ramo III: ci si interroga se i contenuti finanziari siano prevalenti rispetto al vestito assicurativo. Prima o poi l’esenzione dalle tasse di successione e gli altri benefici potrebbero essere messi in discussione», osserva Marcello Rubiu, amministratore unico di Norisk scf.
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La variabile delle spese
Anche un altro cavallo di battaglia delle polizze, l’insequestrabilità e impignorabilità, è da interpretare correttamente: «Vale a condizione che non sia riscontrabile un comportamento fraudolento da parte dell’assicurato», precisa Rubiu. Il principale aspetto cui bisogna prestare attenzione ha a che fare con i costi: tra commissioni di gestione, caricamenti iniziali e spese di uscita, i benefici fiscali e le potenzialità di rendimento rischiano di essere compromessi. «I caricamenti iniziali possono arrivare al 2%», osserva il consulente di Norisk scf. Significa che, nel caso peggiore, si mette sul piatto 100 ma solo 98 vengono effettivamente investiti.
«Occorre ricordare che queste commissioni sono sempre negoziabili, specialmente per chi ha a disposizione un patrimonio di una certa entità: in questo caso i caricamenti iniziali devono essere azzerati. I piccoli risparmiatori, invece, spesso si trovano a fare i conti con prelievi di almeno 0,5% ad ogni versamento», annota Rubiu. Secondo cui le commissioni di gestione, nei prodotti più competitivi, si attestano poco sopra l’1%. «Ma possono arrivare al 2%», precisa.
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Le penali per chi abbandona in corsa
Talvolta vengono applicate commissioni variabili, in base alle performance ottenute. C’è poi il nodo dei riscatti: di norma per il primo anno non si può uscire dall’investimento. Trascorsi 12 mesi e fino ai cinque anni, in molti casi è prevista una penale di uscita decrescente, che nelle fasi iniziali può valere anche il 3% del capitale investito. Prima di sottoscrivere il contratto è essenziale, quindi, mettere a confronto i costi di vari prodotti, analizzando il Ter (Total expense ratio, un indicatore sintetico di costo) disponibile sui fogli informativi.
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Lo sprint delle «multiramo»
In un anno positivo per la raccolta Vita, lo sprint spetta alle polizze multi-ramo: soluzioni che propongono una combinazione tra la componente assicurativa tradizionale, a rendimento minimo garantito (ramo I) e quella unit linked (ramo III), con la possibilità di passare da una all’altra, senza far scattare il prelievo fiscale sul capital gain. La raccolta registrata su questi prodotti, che rappresentano un terzo del totale dei premi, pari a 31,3 miliardi, è aumentata del 12,1% nel 2018. A gennaio un’ulteriore accelerazione, più 17% su base annua (esclusi i prodotti previdenziali e i Pir). .
Il successo delle soluzioni «ibride» va interpretato anche alla luce della fase di debolezza attraversata dalle polizze nel 2016 e 2017, anni di contrazione della raccolta nel ramo Vita. Un dato riconducibile, a sua volta, a un cambiamento regolamentare: le nuove regole della direttiva europea Solvency II richiedono un elevato assorbimento di capitale per le polizze di ramo I, rendendole un business meno profittevole per le compagnie. Le quali, non a caso, cercano di dirottare la richiesta di protezione, attraverso strumenti assicurativi, verso soluzioni multi-ramo
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