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L'acqua è pubblica o privata?Le multinazionali dell'acqua operano da tempo persino in Molise. Dove? Lungo il confine con la Campania e con il Lazio e lungo l'Adriatico. Per esempio, a Sesto Campano, la gestione è stata conferita ad "Acqua Campania" Spa (Gruppo ENI), partecipata dalla francese "Veolia" (tramite la SIBA dei Pisante), proprietaria pure dell'inceneritore Energonut di Pozzilli. Il capitale di questa Società è pressoché interamente in mano statunitense ("Wellington Management Company LLP"; "Invesco Power Shares Capital Management LLC"; "Vanguard Wellington Fund, Inc.").La contigua vicenda di un'altra azienda ("Acqualatina" Spa) lascia intendere quali impensabili intrecci economici possano concretarsi in questo settore. La prefata Società, che ha vessato i cittadini con bollette talmente alte da costringere i cittadini di Aprilia a rifiutarne il saldo, è una spa a capitale misto in cui il privato (49% delle quote) è capeggiato da "Veolia" in uno con "Enel Hydro" e con "Siba", due imprese (con quote marginali) del Gruppo Pisante. Tra le compagnie partecipate (al 20%) dalla Società francese, figura la "Geal Lucca" Spa che lega la Società transalpina alla romana "Acea", cui sono riconducibili le controllate che si occupano di acquedotto, di fognatura e di depurazione nei comuni molisani di Conca Casale e di Termoli, tra cui la Sigesa.Nel 2009, la citata Spa capitolina rimase coinvolta in una vicenda amministrativa e giudiziaria perché aveva tartassato gli utenti della Ciociaria con bollette i cui importi erano lievitati in misura superiore al 20%. Tutto ciò avveniva mentre l'utenza aveva registrato una crescita delle perdite d'acqua, una riduzione dei quantitativi che pervenivano nelle case ed un peggioramento della qualità, con addirittura alcuni superamenti della percentuale di arsenico resi noti anche con venti giorni di ritardo.Le Fiamme gialle, che avevano preso ad interessarsi di questa vicenda, erano coordinate dal Pubblico ministero Margherita Gerunda quando il Magistrato (che stava facendo colazione in un bar) ordinò un bicchiere d'acqua. Bevutone il contenuto, stramazzò a terra, per fortuna senza ulteriori conseguenze esiziali. Questo episodio, emblematico ad ogni effetto, costrinse la stessa Assemblea dei Sindaci dell'Ato (il Governo del Servizio idrico integrato) a dichiarare che le carenze nella gestione erano tali da rendere quest'ultima non più rispondente a quanto era stato previsto dalla convenzione.Una situazione simile potrebbe prospettarsi anche per la popolazione termolese. Infatti, non va scordato che - nel centro costiero molisano - sono stati già registrati, in più di un'occasione, problemi relativi alla fornitura di acqua potabile; e il Comune si è ritrovato a dovere assolvere al pagamento di fatture di notevolissimo importo, senza riuscire a spiegare ai propri amministrati (che se la prendevano con i Sindaci pro-tempore) che la colpa doveva essere attribuita esclusivamente alla Sigesa (Gruppo Acea).Insomma, checché ne dicano i referendari, abbiamo già a che fare con un oligopolio riconducibile ad un mucchio di sigle dietro cui si nascondono alcuni gruppi economici che si occupano anche di acqua e di rifiuti. La "Enercombustibili" (Gruppo Acea) ha convenuto con "Energonut" (Gruppo Veolia) il conferimento di 15.000 t/anno di CDR all'impianto di Pozzilli. Spesso s'incrociano i destini finanziari di Acea e Veolia. Altrettanto frequenti sono i legami tra Eni, Suez, Hera, Acea e Veolia: un banalissimo cartello tra pescecani che preferiscono non azzannarsi, anche perchè sostenuti (finanziariamente e politicamente) dai medesimi gruppi di potere. Difatti, nel portafoglio del Fondo d'investimenti "Performance Environnement", controllato dalla "Financière de Champlain", spuntano i nomi di Acea, Veolia, Suez ed Hera. Poi, a ben guardare i conti di quest'ultima salta fuori la proprietà del 6% di azioni di "Sadi Servizi Industriali" S.p.A., nel cui Consiglio di amministrazione siede Franco Castagnola, presente sino al 2006 nel Gruppo Eni. Ma i legami non finiscono qui perché di quest'ultimo è Amministratore delegato Paolo Scaroni che siede nel Consiglio di amministrazione di "Veolia", possiede azioni del Milan (regalategli direttamente da Berlusconi) ed è buon amico di Pierluigi Bersani che trova sempre l'occasione buona per elogiare "Veolia" ed attaccare chi ne contesta gli inceneritori.In tutta quest'acqua, stagnante non solo in senso metaforico, si agitano le ingenuità di chi ha votato "sì" agli ultimi referenda sull'acqua e le bugie di chi ha voluto rivoltare la pizza della verità sulla cosiddetta privatizzazione dell'acqua. Un concetto di cui è stato paladino incontrastato il Governatore della Puglia. Manco a farlo apposta, proprio in questa regione (dove la distribuzione dell'acqua è completamente nelle mani pubbliche) la gestione non ha funzionato, lasciando a secco i rubinetti di migliaia di persone proprio nel giorno del referendum, con il rischio che il diffondersi della notizia potesse far mancare il quorum addirittura nel territorio vendoliano, comunque scivolato agli ultimi posti dell'affluenza nazionale per numero di votanti. L'occasione ha offerto il destro al Sindaco di Bari Emiliano per attaccare il Governatore e per chiedere la testa dei vertici dell'Acquedotto pugliese, i cui dirigenti erano stati tutti insediati dal politico con l'orecchino.Insomma, "Vendolino" ha rischiato di vedersi disarcionare proprio dal suo cavallo di battaglia, dopo che aveva già fallito prima con la gratuità dell'acqua e poi con l'abolizione della bolletta. Per conseguenza, il capo di Sel ha dovuto nominare un nuovo amministratore, spostando l'obiettivo sulla ripubblicizzazione dell'Acquedotto pugliese. E pensare che, per ricordare le sue gesta, alle ultime elezioni aveva persino creato una filastrocca in ottonari, a rima baciata:"Giù le mani dalla brocca, l'acqua è nostra e non si tocca". Lasciare senza bere tutte quelle famiglie, proprio mentre imperversa la stagione calda e si urla ai quattro venti che l'acqua è un bene pubblico da non trasformare in un bene economico, per un "Sellino" non poteva non diventare una gaffe inimmaginabile, soprattutto perché perpetrata in una Regione che aveva puntato tutto sulla gestione pubblica dell'acqua. Ecco cosa vuole dire veramente il motto latino che suona "Verba volant".Claudio de [email protected]

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non c'è nessun sellino in giro?

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perche' Vendola non risponde?AMMINISTRATIVO 22 GIUGNO 2011, 10:37Dopo i referendum, come cambiano i servizi pubblici locali a rilevanza economicaQuale normativa si applica dopo l’abrogazione dell’articolo 23-bis del decreto Bersani?Il 12 e 13 giugno i cittadini italiani sono stati chiamati alle urne per votare sui quattro quesiti referendari promossi dai comitati referendari di cui due sull’acqua, uno sul nucleare e l’ultimo sul legittimo impedimento.Il risultato è stato raggiunto, avendo tutti e quattro i quesiti superato abbondantemente il quorum necessario per rendere efficace l’effetto abrogativo sotteso ad ogni quesito.Vale la pena soffermarsi sugli effetti del quesito col quale si è abrogata la normativa (articolo 23-bis del d.l. n. 112/2008), che disciplinava la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica.Prima, la norma abrogata obbligava l’Ente locale ad affidarsi al mercato per la gestione del servizio, adesso viene meno l’obbligo ma rimane comunque la necessità di optare per il modello di gestione più idoneo (gestione diretta, gestione in house, affidamento esterno mediante gara, affidamento a società mista), sulla base di valutazioni che risentono della normativa e dei principi immanenti nell’ordinamento comunitario.E d’altra parte, la stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 24 del 2011, proprio nel contesto dell’esame preventivo in ordine all’ammissibilità del citato referendum, si era così espressa: “Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte – sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (…)”.Ora, secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa, appare scontato che la pubblica amministrazione che intenda acquisire lavori, servizi e forniture debba – e non semplicemente possa – rivolgersi al mercato nel rispetto degli istituti di derivazione comunitaria (Consiglio di Stato, sentenza 23 marzo 2003 n. 1289).Secondo altro orientamento, ancora più recente, per i servizi pubblici a rilevanza economica degli enti locali, l’attuale quadro normativo non prevede l’ipotesi della gestione diretta (internalizzata), ciò a seguito della “…necessità di applicare la disciplina comunitaria ai servizi pubblici locali a rilevanza economica” (Tar Emilia Romagna, sezione I, sentenza n. 460 del 2010).In pratica, è cambiato molto poco con il referendum abrogativo della normativa vigente in materia di gestione del servizio pubblico locale.Nella vigenza dei principi comunitari, l’abrogazione dell’articolo 23-bis non centra l’obiettivo che i referendari si erano proposti.La vacatio iuris che si è venuta a creare, per effetto dell’abrogazione della disciplina sui servizi pubblici di rilevanza economica, trova la sua naturale rete di contenimento legislativa proprio nelle disposizioni contenute nel Trattato della Comunità Europea e più precisamente nell’articolo 86, paragrafo 2, trasfuso nell’articolo 106 del TFUE.La norma in parola stabilisce che “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.In effetti, non era pensabile che un referendum a carattere nazionale potesse incidere anche l’ordinamento comunitario …

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Napoli, doppia monnezza. Sindaco e magistrati sepolti dalla spazzatura Condividi su facebook Scritto da Fabrizio Rondolino mercoledì 22 giugno 2011il Giornale - Napoli sprofonda e affonda nell’im­mondizia, s’illumina di roghi improvvi­si e disperati, soffoca tra le esalazioni nauseabonde che salgono dalle 2400 tonnellate di rifiuti che il sindaco De Ma­­gistris non è riuscito a rimuovere nono­stante le solenni promesse, e dalle 19.000 pagine di intercettazioni ambien­tali e telefoniche che il pm Woodcock va diffondendo giorno dopo giorno sui principali quotidiani italiani. Henry John Woodcock rovista nella spazzatura, Luigi De Magistris ci spro­fonda: eccola, l’Italia dei pm vent’anni dopo Tangentopoli, l’Italia della legalità e della società civile che si ribella e s'indigna,l’Italia dei valori e delle manette che distrugge le vite degli altri per un briciolo di notorietà.La monnezza che Woodcock va rovesciando sull’Italia con la sua fantastica inchiesta su Bisignani non serve ad altro che a rovinare l’immagine e la reputazione di un certo numero di persone di varia estrazione sociale, professionale e politica, il cui solo tratto comune è non appartenere alla folla beota delle tricoteuses che hannoscambiato per rivoluzione una repressione giudiziaria dell' autonomia e del primato della politica che non ha precedenti nei Paesi liberali. La monnezza di De Magistris, invece, per una volta rischia di danneggiare la sua immagine, e non quella dei cento imputati innocenti che la sua avventurosa carriera di pubblico ministero gli ha offerto come cavie per la notorietà. «Scassiamo tutto», aveva promesso De Magistris alla vigilia del voto: e non è mai accaduto che un politico mantenesse così rapidamente la promessa fatta. Napoli sta chiudendo per monnezza: chiudono i negozi, gli uffici, i locali pubblici; la notte scoppiano roghi pericolosi e incontrollati; l’emergenza è palesemente fuori controllo.Aveva promesso di risolvere il problema in cinque giorni, il supersindaco scassaNapoli, e oggi per nascondere la catastrofe grida al complotto, alla congiura, al boicottaggio. «Io avevo detto che di giorni ne bastavano quattro - ha esclamato lunedì, quando la catastrofe era già evidente, e senza ombra di ironia -. Poi ci siamo tenuti larghi. Ma se ci sono i boicottaggi come si fa? Ci hanno anche rotto un compattatore. La verità è che questa amministrazione sta rimuovendo incrostazioni ventennali determinando risposte di sabotaggio ». S’immagina che i sabotatori siano tutti amici di Bisignani. Un destino capriccioso ha concentrato a Napoli i due fenomeni più interessanti della seconda generazione giustizialista. La prima, quella eroica di Tangentopoli, o è andata in pensione (Borrelli) o ha fatto un passo indietro (Davigo) o s’è buttata in politica (Di Pietro). Resiste eroica la Boccassini, che tuttavia ha l’inestimabile pregio di non rilasciare interviste, non fare comizi e non firmare autografi. La seconda generazione giustizialista si differenzia dalla prima per un dettaglio essenziale: le prove, ancorché indiziarie o contrad-dittorie, non contano un fico secco; conta lo scenario, il contesto, il «teorema», che tanto più eccita la fantasia dei lettori quanto maggiore è il coinvolgimento di personaggi più o meno famosi (non importa che siano indagati: basta che il loro nome interessi ai giornali).De Magistris e Woodcock hanno costruito così la propria immagine di giustizieri inflessibili: da «Why Not» alle «Toghe lucane», da Vallettopoli al «Savoiagate», non c'è inchiesta di questi coraggiosi magistrati che non si caratterizzi per l’enormità dell’intrigo denunciato, per lo sfarfallio mediatico dei suoi protagonisti, e per la mancanza assoluta di prove. Quest’ultimo è un dettaglio privo d’importanza: come la monnezza che non se ne va, anche le prove che non si trovano sono colpa di un sabotaggio di Bisignani. Il passaggio alla politica nella sua forma degradata di populismo plebeo è naturalmente coessenziale a questo modo di intendere la giustizia: che non è la fatica e lo scrupolo dell’indagine, né l’imparzialità del giudizio, ma lo strumento irresponsabile per la costruzione della propria immagine di guerriero senza macchia e senza paura. In questo contesto distorto, gli insuccessi dimostrano che i nemici sono ancora forti, non che l’inchiesta non vale nulla. E del resto l’obiettivo non è mai giungere alla condanna, perché le prove non vengono neppure raccolte, ma distruggere la reputazione e la vita privata di coloro che, ricoperti di fango, suscitano gli applausi dei futuri elettori. A Napoli la democrazia s’è presa il colera.

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