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ECONOMIA Ex dirigente della Fiat: costretto a dire il falso sui fondi"Getta ombre sinistre sulla memoria dell'Avvocato"Agnelli, la famiglia reagisce"Margherita stravolge la verità"di ETTORE BOFFANO e PAOLO GRISERI Margherita AgnelliTORINO - La replica a Margherita Agnelli arriva alle 18 di ieri, dettata alle agenzie. Chi scrive è la "Giovanni Agnelli Sapaz", l'accomandita che raduna (eccetto Margherita) i discendenti del fondatore della Fiat: un segnale per dire che l'intera famiglia è unita sull'eredità dell'Avvocato (a sollecitare l'intervento sarebbero stati alcuni dei soci). Poche righe secche e dure per difendere la memoria di Gianni Agnelli e per spiegare che non è il momento di toccare il Gruppo: "Nei giorni stessi di una sfida fondamentale per dare alla Fiat prospettive di sviluppo - si legge - c'è chi, per pretese di successione familiare, si dedica invece a minare la credibilità del gruppo e dei suoi uomini, stravolgendo il passato e gettando persino ombre sinistre sull'operato e sulla memoria dell'Avvocato". Nella nota non compare nessun accenno a quanto sostenuto dai consulenti di Margherita riguardo all'Opa Exor del 1998 e a un presunto capitale estero di Agnelli per un miliardo e 463 milioni di euro, ma si preannuncia invece una risposta davanti al giudice: "Si avvicina il momento della chiarezza: gli avvocati risponderanno punto per punto e in piena trasparenza alle accuse inconsistenti, ristabilendo la verità nella sede più appropriata, che è quella delle aule di giustizia". In serata, ecco la controreplica dei legali di Margherita: "Con grande stupore vediamo accomunati due temi che nulla hanno a che fare tra di loro: le attività del Gruppo Fiat e una vicenda giudiziaria relativa ad una legittima richiesta di rendiconto ereditario. L'accomandita non è parte del giudizio e non ha alcun motivo di citare Gianni Agnelli il cui operato non è assolutamente messo in discussione. Se i gestori del suo patrimonio ritengono che gli azionisti anonimi di Exor Group non abbiano nulla a che fare con l'Avvocato, non hanno che da dimostrarlo". Il riferimento finale è al 30 giugno prossimo, giorno in cui è fissata l'udienza conclusiva della causa nella quale sono citati Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens, Siegfried Maron e Marella Caracciolo. E proprio quel giorno è possibile giunga a conclusione una vicenda ormai segnata da un aspro scontro che dura da sei anni. La lite. Tutto si scatena il 24 febbraio 2003 (Agnelli è morto il 24 gennaio) con l'apertura dei testamenti nello studio del notaio Ettore Morone e si conclude (all'apparenza) il 18 febbraio 2004 con un accordo stipulato a Ginevra tra Margherita e la madre Marella. In esso alla figlia vanno 670 milioni di euro: cioè tutto quel patrimonio italiano ed estero che le è stato comunicato in più riprese. Conti bancari, società offshore, azioni, immobili, barche e collezioni d'arte. In cambio, Margherita trasferisce alla madre il 25 per cento della società "Dicembre" che guida la "Giovanni Agnelli Sapaz" (la quota sarà poi donata a John Elkann dalla nonna), esce dall'accomandita di famiglia, rinuncia per sempre alla futura eredità di Marella e le concede un usufrutto mensile di 770mila euro. Le società offshore. Il compromesso è il frutto di un'estenuante trattativa che, nella ricostruzione della figlia dell'Avvocato, sarebbe stata segnata da continui aggiustamenti sul valore dell'eredità. In un primo momento le sarebbe stato indicato solo il cespite italiano, ma in seguito la signora entra in possesso di un documento riservato (il "Summary of assets") su un patrimonio offshore di almeno 584 milioni di euro distribuito in trust chiamati Fima, Calamus, Springrest, Sigma e Silkestone. La maggior parte di essi sono transitati nella fondazione Alkyone creata a Vaduz da Herbert Batliner (First Advisory Group), uno dei maghi dei "paradisi fiscali" del Liechtenstein, e i cui "protector" sono Grande Stevens, Gabetti e Maron. La rottura. Dietro la citazione a giudizio di quelli che considera i "gestori" del patrimonio, per Margherita c'è soprattutto la convinzione che non le sia mai stato consegnato l'esatto rendiconto di ciò che negli anni sarebbe finito nelle società estere. Qualcosa che adesso ha quantificato con la vicenda dell'Opa su Exor del 1998: un miliardo e 463 milioni di euro e che avrebbe avuto come amministratori uomini e donne che fanno riferimento ai commercialisti svizzeri Siegfried Maron e Rudolph Staiger. I beni. Margherita contesta anche la mancata consegna di alcuni beni immobili. In particolare, l'alloggio di Parigi, quello di New York e le quote azionarie di quattro posti barca ad Antibes e a Beaulieu poi ceduti dopo la morte dell'Avvocato utilizzando proprio società gestite da Staiger. I fondi neri. Durante il periodo in cui ha avviato la causa, Margherita ha anche deciso di sostenere le spese legali di un ex alto dirigente Fiat incaricato per anni di gestire la sicurezza interna, Luigi Pagella. Quest'ultimo, un anno fa, si è presentato alla procura di Torino affermando di essere stato costretto a una falsa testimonianza nel processo del 1995 contro Cesare Romiti per i falsi in bilancio della Fiat. Pagella, in particolare, sostiene di aver accreditato la versione dell'azienda sulla necessità di costituire una disponibilità "antiterrorismo" per celare invece la formazione di fondi neri all'estero. Un mese fa, la procura ha chiesto l'archiviazione per prescrizione dei reati, ma ha scritto parole molto gravi: "La versione offerta da Romiti e confermata allora da Pagella era davvero falsa". Nell'indagine è stato sentito come teste Carlo Callieri, ex direttore del personale di Fiat Auto, che ha confermato: "Le dichiarazioni di Pagella del 1995 sono del tutto inattendibili". (12 giugno 2009)

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FAZIO,FIORANI E GLI AMICHETTI DEI FURBETTI: TUTTI FALLITI EMPORA O (LELE) MORA! - IL PARTY? PAGA PANTALONE: RICEVIMENTI EXTRA-LUSSO, VACANZE, JET PRIVATI. TUTTO DEDOTTO DALLE TASSE. MA IL FISCO NON è D’ACCORDO - FATE LELE-MOSINA: UN CRACK DA 22 MLN: 17 QUELLI DOVUTI ALLO STATO…Paolo Biondani per "L'espresso"Lele Mora ha fatto crack. E dalle carte del tribunale fallimentare si scopre che a pagare le sue feste da sultano nella villa in Sardegna, con centinaia di ospiti più o meno famosi, piscina caraibica e aereo privato, erano gli italiani onesti. Quelli che, a differenza dell'ex parrucchiere diventato uno dei grandi manovratori della tv-spettacolo, non possono evadere le tasse.L'atto che minaccia di far calare il sipario sulla prodigiosa carriera imprenditoriale di Dario Mora in arte Lele, 54 anni, è un "ricorso per l'ammissione al concordato preventivo". Un'istanza che nelle procedure fallimentari equivale all'ultima spiaggia prima del naufragio. Nel documento, preannunciato in marzo, ma depositato solo il 28 maggio scorso nella cancelleria del tribunale di Milano, il manager veneto dichiara che la sua società-cassaforte, la LM Management, è in uno "stato di crisi" tanto grave da sconfinare nel "dissesto", cioè nell'assoluta incapacità di pagare i creditori. Lo stesso Mora quantifica i debiti accumulati alla fine del 2008 in oltre 22 milioni di euro, destinati a crescere.Mentre la somma di tutte le attività non supera, nella migliore delle ipotesi, i 2 milioni e mezzo. Di qui la sua proposta in extremis per evitare la sentenza di fallimento e le sue disastrose ricadute: l'offerta di versare 2 milioni e mezzo di tasca propria. Con questa "finanza fresca", la società di Mora punta a evitare il crack sborsando meno di 5 milioni, in tutto, sui 22 dovuti. Con un concordato del genere, insomma, più di tre quarti del passivo resterebbe sulle spalle dei creditori. A cominciare dal fisco.La LM Management è la società con cui Lele Mora gestisce da un decennio la sua scuderia di artisti veri o presunti. Dal ricco sodalizio poi interrotto con Simona Ventura, alle trasmissioni di Maria De Filippi, è lui a selezionare vallette e tronisti, sportivi e ragazze-immagine. "Il mondo dello spettacolo è pieno di lupi e io sono il capobranco", dichiarava due anni fa. Ora, nel ricorso, spiega che il suo è un lavoro duro, anche se "atipico", che "consiste nella individuazione di personaggi emergenti e nella loro promozione, collocazione in diversi eventi e cura dell'immagine". Negli anni d'oro fino al 2005 la LM riusciva a raddoppiare i fatturati in un biennio. Nell'atto giudiziario finora inedito, Mora retrodata la sua crisi proprio alla fine di quell'anno, segnato dai primi scandali bancari e dalle intercettazioni dei furbetti del quartierino. E forse non è solo una coincidenza.Sulla carta a provocare il dissesto della LM Management è un'imprevista ispezione tributaria: tra il 22 novembre 2005 e il 29 giugno 2006 l'Agenzia delle entrate di Bergamo passa al setaccio i bilanci della società, che ha la sede legale a Treviglio, contestando sanzioni "salatissime". Nel ricorso firmato da Lele Mora, gli stessi avvocati Luca Giuliante, Sergio Clemente e Matteo Majocchi quantificano l'importo dovuto al fisco in oltre 17 milioni. Mora, secondo i suoi legali, è un incompreso.Simona Ventura"I verificatori non hanno percepito che la LM Management è una vera e propria fabbrica di talenti, solo che in luogo di materie prime come metalli, legno o plastica, si adoperano rapporti interpersonali che si costruiscono con feste, gite in barca, passaggi aerei e quanto altro nel mondo dello spettacolo crea aggregazione e interesse". Questa "peculiarità", lamenta il ricorso, "purtroppo non è stata compresa" dai funzionari di Bergamo, che hanno "ritenuto non deducibili una serie di costi per feste e gestioni di apparenti vacanze di artisti e sportivi". Spese che Lele Mora scaricava sulla società, con il risultato di abbattere le tasse."Il pubblico vuole seguire le vicende dei personaggi famosi e li ama perché essi danno la possibilità di sognare immedesimandosi con loro", si legge nell'istanza. "E i sogni hanno bisogno di adeguate scenografie". Per Mora, quindi, era "indispensabile" spendere una fortuna "per la villa in Sardegna dove gli artisti della LM Management venivano messi a loro agio, mangiavano, dormivano e si divertivano". Altro che "godimento": quei party erano "lavoro atipico". Che "a ben vedere", incalza il ricorso, sarebbe "del tutto paragonabile" ai turni in una fabbrica. "La sola differenza è che invece dei laminati in ferro si producono situazioni utili a promuovere i personaggi soprattutto in televisione e anche sui giornali".Con la stessa logica Lele Mora deduceva dalle tasse anche "i costi di un piccolo aereo utilizzato per mantenere i propri personaggi sempre al centro dell'obiettivo, ovunque si realizzasse un evento".Respinte queste e altre obiezioni difensive, però, l'Agenzia ha imposto a Mora di pagare subito 13 milioni, già esecutivi, oltre ai 4 previsti dai legali per il 2007. L'anno scorso Mora non ha presentato la dichiarazione dei redditi. E nell'ottobre 2008 il fisco ha chiesto il fallimento della LM. Nell'istanza i funzionari di Bergamo sottolineano, tra l'altro, che i tentativi di pignoramento sono risultati "negativi per nullatenenza".Su Internet il sito della LM management resta attivo e non cita alcun guaio legale. Tra gli 'artisti' continuano a comparire le foto di oltre 50 personaggi, in ordine alfabetico da Aida Yespica a Victoria Silvstedt. Ma in tribunale i difensori riconoscono che "tra cassa e depositi bancari, nella società restano solo 723 euro".Per scongiurare il fallimento, ora Lele Mora s'impegna a pagare per intero un solo debito con il fisco da 3 milioni e 300 mila euro. Tutti gli altri creditori (dai fornitori all'Inps, dai dipendenti fino allo Stato per tutte le altre presunte evasioni) dovrebbero accontentarsi di incassare tra l'8 e il 10 per cento. Per assicurare almeno questi rimborsi, Mora s'impegna a versare di tasca propria "2.495.000 euro in sei anni". Mentre l'immobiliare Diana (che è il nome di sua figlia) ne garantisce altrettanti "con cambiali ipotecarie". Mora è pronto a rinunciare anche al suo Cessna privato con i vip volanti: la cessione del leasing dell'aereo, secondo il piano, vale circa 700 mila euro.Ora tocca al tribunale decidere se la società meriti il concordato, che dovrà comunque essere approvato dai creditori, a cominciare dai dirigenti del ministero oggi diretto da Giulio Tremonti.Nel ricorso, Mora rivendica di essere stato "pienamente prosciolto" dall'accusa di ricattare i vip con il fotografo Fabrizio Corona. E attribuisce all'"ingiusta pubblicità negativa" l'inizio della crisi.Il suo ricorso cita però un'"indagine ancora pendente" per tre anni di "fatture ritenute inesistenti". Mentre altre accuse andrebbero interpretate, secondo la difesa, come "errori compiuti da un amministratore che non conosceva le complesse e tortuose regole contabili dei rapporti internazionali". E qui si risale alla struttura estera del gruppo. La capofila LM, fondata nel '98, è rimasta intestata per tre anni a Lorenzo Roberti, un suo amico costumista che nel marzo 2001 ha ceduto il 99 per cento delle azioni a Mirko Mora, figlio di Lele. Quest'ultimo è diventato amministratore solo il 24 settembre 2004. E lo stesso giorno l'80 per cento delle azioni è finito alla Feva Investments, la classica holding del Lussemburgo.Tra una 'festa aziendale' e una telefonata al suo ex banchiere Gianpiero Fiorani, che dal bordo piscina riprogettava una scalata-bis con lui a San Marino, lo stesso Mora ha ottenuto a tempo di record la residenza in un altro paradiso fiscale europeo: la Svizzera. Grazie a un sindaco elvetico, Ludo Bernasconi. Intercettato quando il fisco italiano già dava la caccia al tesoro della LM, Mora gli ha chiesto consigli su una villa da comprare "per tre milioni di franchi". Ma ora, almeno davanti ai giudici di Milano, il sultano del gossip-system giura di sentirsi un fallito.08/06/2009

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Una delle astuzie della società attuale è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi... In passato i poveri solitamente non amavano i ricchi: li si convinceva a sopportare la loro condizione con la forza o spaventandoli con l’inferno. Goffredo Fofi, “La vocazione ninoritaria”, a cura di Oreste Pivetta, ed. Laterza

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