Buongiorno,
circa tre anni fa mio padre ha acquistato un quadro da un venditore a domicilio. In sede di vendita non avendo la cifra richiesta il venditore ha fatto firmare a mio padre un contratto con una finanziaria.
Sta di fatto che dopo circa aver pagato 1/3 del prestito mio padre non ce l'ha più fatta a pagare.
Ieri siamo stati all'appuntamento da un avvocato che si occupa del recupero crediti che voleva un accordo per le rate non saldate ma non per tutto il residuo.
Noi abbiamo risposto che questi soldi non ci sono e che non avevamo problemi a restituire il quadro oggetto del finanziamento.
Lui ci ha risposto che non essendo il finanziamento assicurato sul bene questo non si poteva fare e che loro volevano solo soldi.
Allora ho proposto di fare un saldo e stralcio per chiudere le pratica offrendo c.a. il 50% del residuo che avremmo recuperato internamente in famiglia per chiudere il discorso.
Lui ha iniziato a dire che lo stralcio si può fare solo producendo documentazioni adeguate tra cui modulo ISE, che poi sarebbe stato valutato dall'intendenza di finanza come per spaventarci. A parte il fatto che non abbiamo nulla da nascondere mi è sembrato un po' strano tutto sto giro per una cifra di 3.700 euro. Comunque ha provato ( o finto non so ) a chiamare la finanziaria proponendogli la nostra offerta di stralcio ed è stata rifiutata.
Allora gli ho provato a fare un ragionamento e cioè che il giudice di pace (siamo sotto i 5.000 euro) davanti a un pensionato in sofferenza economica, senza casa, senza beni, con 1/5 della pensione impegnata e con un quadro del valore (evidentemente certificato dalla finaziaria stessa visto che ha approvato il prestito) di 5.500 euro cosa avrebbe fatto pignorare? Il divano o il quadro?
La sua risposta è stata sconcertante e cioè "mi sembra assurdo arrivare a fare un decreto di pignoramento per questa cifra"
Rispostamia "allora prendetevelo subito"
Alla fine siamo andati via con il suo "consiglio" di rifare la proposta di stralcio noi direttamente alla finanziaria ma onestamente visto come siamo stati trattati e visto che comunque saremmo noi figli (che non siamo in alcun modo co-obbligati) a dover intervenire, per ciò che mi riguarda i soldi non ci sono e se vogliono si riprendono il quadro.
E' corretto come ragionamento? Visto che un quadro non è un bene che si usura (come un auto o un cellulare) ma che teoricamente acquisisce valore nel tempo e che era espresamente oggetto del finanziamento e che il finanziamento è stato fatto dal venditore della galleria d'arte, perchè non se lo riprendono e basta?
Ultima nota che essendo ignorante in materia non so quanto possa valere magari risolve tutto o magari non conta nulla.
Il contratto di finanziamento che ci è stato lasciato è per prima cosa sulla copia del convenzionato e non la copia del cliente.
In secondo luogo riporta solo l'ammontare del prestito e NON c'è scritto: né il numero delle rate, né l'importo delle rate (che sono segnate invece sul contratto intestato alla galleria) né il TAN, né il TAEG, né la periodicità delle rate, dati che invece non sono segnati da nessuna parte ed inoltre lo spazio dove il "convenzionato" avrebbe dovuto apporre timbro e firma per garantire la veridicità dell'identità di mio padre è vuoto e le firme sul contartto sono solo quelle di mio padre.
E' valido questo contratto? Essendo stato stipulato nel 2011 è possibile ricusarlo? Se sì cosa possiamo chiedere e cosa dobbiamo fare?
Scusate se mi son dilungato ma come vedete la situazione è un bel po' pasticciata.
Grazie