Patos, gira che ti rigira, mi riporti sempre a discutere di un argomento - il cambio - di cui non m'interessa nulla. La considero una discussione tanto sciocca quanto inutile. Ciò detto, giusto per educazione, rispondo ancora una volta e lo faccio in maniera didascalica.
Quell'articolo io l'ho letto ieri sul Sole24ore e il commento su eurolandia non mi pare fosse del ministro brasiliano - che si limitava ad ammettere l'esistenza di una guerra valutaria - ma dell'articolista (non che sia importante, ma se metti il link possiamo verificare).
La cosiddetta espansione, intanto a quanto pare non ha funzionato (tutti i Brics hanno chiuso in arretramento), ma a parte questo ha comportato in quei Mercati seri effetti collaterali (vedi il mio post di sopra).
Riguardo l'export: a) avevo postato in un altro thread i grafici di tutti i paesi UE; b) il fatto che Spagna e Francia non accusino questo squilibrio conferma che il cambio non c'entra; c) se non ricordo male, i nostri principali partner per l'export sono nella UE, il che rende del tutto ovvi i tuoi numeri sul export e, per di più, depotenzia ancora una volta il discorso del + cambio = più export, giacché il grosso lo esportiamo nella UE.
Lo scenario è tale in quanto si scomette sul futuro, non certifica nulla nel presente. Inoltre, quell' 1,22 mi sembra al momento più che realistico e alla portata nel quadriennio.
Premesso che non mi faccio influenzare dai pareri altrui e preferisco ragionare con la mia testa e in base alla mia esperienza, se proprio ricerchi pareri contrari te ne posto io alcuni a seguire. Li ho trovati (facilmente) con una semplice ricerca su google:
Link:
http://www.ilfoglio.it/soloqui/20432
Stralcio:
Troppo allarmismo? Non manca chi lo sostiene, e da tempo. Una valuta forte incentiva infatti processi di ristrutturazione nelle aziende esportatrici, costrette a guadagnare in competitività su altri fronti. Lo sostenne tempo addietro l’economista statunitense della Hoover Institution di Stanford, Melvyn Krauss, che oggi invoca un po’ d’inflazione in più per alleggerire il fardello debitorio dei paesi mediterranei. Un’altra tesi vuole che, grazie all’euro forte, le principali materie prime, quotate in dollari come è spesso il caso per cibo e petrolio, diventino relativamente più convenienti per le nostre aziende che quindi potrebbero ridurre i costi di produzione. Terza tesi, più fattuale: l’export tedesco ha ottenuto risultati stellari nei primi anni 2000 anche con un dollaro in caduta; e oggi Irlanda e Spagna hanno ripreso a esportare con forza, pur ingabbiate nella moneta unica.
Infine c’è un’altra argomentazione pragmatica, ma nient’affatto marginale, a favore dell’euro più forte rispetto al dollaro. E’ quella che ricorda al Foglio Giuseppe Di Gaspare, docente di Diritto dell’economia alla Luiss e autore per Utet di “Teoria e critica della globalizzazione finanziaria”: “Il rapporto di cambio è una delle variabili da tenere presenti, ma è bene ricordare che gli schemi teorici dell’economia-mondo sono saltati rispetto al 1971, anno in cui si è inaugurata una totale libertà dei flussi di capitali. Oggi molti economisti restano intrappolati in teorie che spiegano sempre meno”. Di cosa non sembra tenere conto una economista come Reichlin? “I grandi investitori finanziari, con un dollaro che perde nel cambio con l’euro, trovano conveniente indebitarsi in dollari e investire in euro, dato il bassissimo tasso praticato dalla Fed, guadagnando così sul differenziale del cambio e sul tasso di interesse dei titoli di stato europei che hanno rendimenti più elevati dei Bond americani”. Considerato che oggi i capitali americani rappresentano “due terzi della liquidità monetaria mondiale”, ecco spiegata una “ondeggiante massa monetaria verso l’euro e quindi la conseguente discesa dei tassi d’interesse sui debiti pubblici in euro nello stesso periodo”.
Ciò detto, non offenderti se sul discorso cambio non replico più: non è per non voler dialogare con te ma per non usare violenza a me stesso