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Sto facendo un po' di conti.

Da quello che vedo, (a parte ringraziare papa Francesco che a maggio ero intenzionato a chiudere, ma poi e' arrivato lui e ha "portato" gente), ho come l'impressione che la crisi ci abbia portato tutti quanti ad un gradino piu' basso di benessere.

Adesso si lavora con un margine inferiore e meno sicurezze, il che si ripercuote sull'occupazione. Non mi posso permettere quel dipendente "jolly" che mi permettevo prima, quindi in piccolo, rifletto quello che dicono le rilevazioni e cioe' che si sono persi 1,8 milioni di posti di lavoro che non verranno recuperati (anche perche' chi ha il lavoro e' piu' propenso a sacrificarsi, invece di accampare diritti ormai fuori mercato del lavoro).

Quindi, il governo dovra' inventare un nuovo sistema di redistribuzione della ricchezza. Finora, in Italia ci siamo salvati con la forza della famiglia, facendo quadrato e aiutando il componente in dificolta'. Temo che non sara' piu' possibile tra un po'.

Mi diceva un coppia di canadesi: "Basta fare come la repubblica dominicana: le tasse sono basse ma i servizi dello stato (strade, ospedali, corrente elettrica, galere, ecc.) fanno schifo. Spetta al privato risolversi e il privato queste cose le risolve se c'e' il lavoro e la crescita e li c'e sicuramente"

In realta', rispetto a noi la differenza c'e'....oddio le strade fanno pieta', gli ospedali anche ..... ed i criminali - beh - quelli li rimettiamo fuori.....ma intanto paghiamo tasse a tutta birra......dove vanno a finire?



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Olim, Hortacius, dedisti filii nam ignotam.

------------------------------------------------------- Olim, Hortacius, dedisti filii nam ignotam. Per quanto riguarda me: So cosi de legno che si me rifa' Geppetto, ce tira fora Pinocchio.

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Intanto,per entrare nel sito seglalato,occorre essere autorizzatie e non si riesce a venire a capo di nulla,voglio aggiungere che i dati da me citati a pag 11 sono desunti da borsaitalia per le valute,dal sole per l'intervento di magnago e da repubblica per l'intervento di fubini pag 13 del 28.12.2013,in particolare lo studio di repubblica e tutto incentrato sui danni dell'euro forte,poi ognuno la vede come la vuole vedere.

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Chi si disinteressa del tasso di cambio, sostiene che l’area euro è relativamente chiusa all’esterno perché i suoi Paesi commerciano in prevalenza fra loro. Dunque la forza dell’euro cambierebbe poco. Ma non è più vero. Eurostat, l’agenzia statistica Ue, mostra che nel 2012 l’Italia ha venduto fuori dalla zona euro beni e
servizi per 231 miliardi, pari al 59% del suo export totale. È il 15% del Pil. Un euro sempre più forte erode dunque la competitività del Paese più di quanto faccia per esempio per la Spagna e la Francia, le quali piazzano in area euro circa metà del loro export. Le imprese italiane fatturano in Turchia oltre dieci miliardi l’anno, dunque per loro la svalutazione del 24% della lira turca nel 2013 incide a fondo. Considerazioni simili valgono per i dieci miliardi di vendite del made in Italy in Russia ora che il rublo è giù del 13%, per i 19 miliardi del mercato britannico a sterlina giù del 3% o per i quasi sei miliardi di export in Giappone con lo yen giù di quasi un quarto o per i 26 miliardi di fatturato italiano negli Stati Uniti con un dollaro cronicamente debole.

Forse era inevitabile, vista l’aggressività delle altre grandi banche centrali. La Federal Reserve Usa quest’anno ha creato e immesso sui mercati qualcosa come mille miliardi di dollari. La Banca del Giappone ogni mese interviene iniettando yen per l’equivalente di circa 70 miliardi di dollari e la Banca d’Inghilterra negli ultimi anni ha comprato più di un terzo dell’enorme stock di debito pubblico di Londra.

La Bce invece per adesso non fa niente di simile, ma per quanto tempo ancora potrà evitarlo? Alla Spagna, all’Italia o alla Grecia, la Germania e la stessa Bce chiedono di recuperare terreno sui mercati globali attraverso svalutazioni interne: tagli ai costi di produzione e ai salari dei lavoratori per poter vendere nel mondo a prezzi più competitivi. È una strategia che comporta costi sociali elevati, con l’aumento della disoccupazione, un lungo congelamento o il taglio degli stipendi pubblici e l’erosione dei salari privati. Ora però la forza dell’euro lasciato a se stesso nella guerra valutaria globale sta vanificando buona parte di questi sacrifici, o rischia di farlo presto.

L’alternativa non può essere il modello argentino, default e svalutazione brutale. Dieci anni dopo quella svolta, nel Paese sudamericano l’inflazione resta fuori controllo e la popolazione alla fame sta ancora saccheggiando i negozi. Ma la storia recente insegnerà pure qualcosa: fra il 2007 e il 2009 lo yen si impennò un terzo del valore su euro e dollaro e fu proprio allora che l’export tedesco prese il volo. Ora è l’Europa ad avere davanti un destino giapponese, più un altro rischio: il crollo della sua legittimità fra i cittadini, perché rifiutando di governare la moneta manda in fumo i sacrifici che chiede ai lavoratori più deboli dei Paesi in crisi.

(28 dicembre 2013)

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Chi si disinteressa del tasso di cambio, sostiene che l’area euro è relativamente chiusa all’esterno perché i suoi Paesi commerciano in prevalenza fra loro.

Io appartengo a coloro che si disinteressano del tasso di cambio. Continuo a farlo per le motivazioni già esposte e considero tutto quel che segue dell'articolo mera aria fritta. Salvo l'ultimo capoverso, ovvero il crollo di legittimità della UE, che a mia volta pavento e rispetto al quale (ri)propongo una consultazione popolare estesa a tutti i paesi UE. E ritengo sia il caso di farla prima che la delegittimazione diventi irreversibile, così da poter poi intervenire con correzioni sostanziali sulle attuali disfunzioni-debolezze della UE così com'è oggi.

L'estensore dell'articolo (a proposito, chi è?), cosa propone invece? Se la sua soluzione è la svalutazione dell'euro, forse non vale neppure la pena perdere tempo per rispondergli che semplicemente non si può fare ( e questo prima ancora di valutare se sarebbe opportuno o meno farlo)

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Come appare chiaro, chi sta nel mondo del lavoro vede le cose come sono mentre chi teorizza non si sa in quale mondo vive.

quoto qui ci sono i soloni che si fanno le grandi letture del quotidiano di confindustria ma e' fiction letteraria , la realta e' che a olginate una azienda la sisme che faceva motori elettrici per elettrodomestici il giorno di natale lascia a casa 250 persone ... allora la crescita che cosa e' ? fare in modo che si possa vendere il bianco dimodo che questa gente che fa motori per lavatrici possa continuare a vivere a lavorare e a consumare ...... ma qua dove cazzo e' la politica ? cosa servono se questa e' la realta ?

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parliamoci chiaro: la sisme non chiude, ma delocalizza all'estero e non attua il contratto di solidarietà previsto dalla legge vigente. va a sfruttare mano d'opera più a buon mercato di quella italiana. suo diritto, forse, ma certo non un bell'esempio, e la politica c'entra molto. se un Renzi qualsiasi si permette di infischiarsene dell'art. 18 e quant'altro. anche perchè in futuro quella mano d'opera non è detto che sarà sempre a buon mercato. e comunque i costi di un "trasloco" sono notevoli, e coprono il risparmio sulla mano d'opera per diversi anni, non sono sicuro che la sisme abbia fatto reali calcoli di convenienza. siamo sicuri che tra dieci anni l'investimento si sarà dimostrato davvero redditizio? e i 250 lavoratori italiani per strada? tutti a riparare lavatrici e frigoriferi?



.... continuavano a chiamarlo l'ineffabile

g.g.

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